Affinamenti in botte, lieviti selvaggi, birre uniche. Ca’ del Brado si racconta al nostro magazine.
Quando Ca’ del Brado ha iniziato la sua avventura – era il 2016 – non sapevano come definirsi. E così hanno inventato un neologismo, che oggi caratterizza un certo modo di fare birra. Cantina brassicola. “Allora non avevamo produzione di mosto di birra, e il cuore del progetto era la cantina dove le nostre birre affinavano. Ancora oggi, sebbene nel 2021 ci siamo dotati dell’impianto di produzione, la cantina è il nostro fulcro” racconta Luca Sartorelli, che del birrificio è il mastro birraio. Da Pianoro, provincia di Bologna, in questi anni Ca’ del Brado si è fatta conoscere in tutta Italia – ma anche all’estero (un terzo della produzione supera i confini nazionali) – per una rigorosa ricerca sull’affinamento in legno delle birre e l’uso di lieviti selvaggi. Due attitudini racchiuse nel termine stesso, brado: lento da una parte (βραδύς, in greco), non addomesticato dall’altro.
Con l’Università di Modena e Reggio Emilia, al termine di un lavoro durato un anno, hanno individuato il loro B.U.N.N.Y., ovvero il lievito “di casa”, che caratterizza la loro recente linea di birre non sour: Tevla, Sevna e l’ultima arrivata Futa. “Attraverso diversi campionamenti delle birre in botte, abbiamo selezionato un pool di lieviti e batteri che formano la nostra flora fermentativa. Da questo lavoro abbiamo selezionato tre lieviti, per poi sceglierne uno che corrispondeva alle caratteristiche volute. Lo abbiamo confrontato con i lieviti commerciali, e non è tra quelli usati in precedenza, ma definisce in maniera identitaria le nostre birre”.
Tevla, Sevna e Futa sono birre “pulite”, che non fanno botte. Ma Ca’ del Brado è conosciuta fin dal principio per i suoi affinamenti nel legno. Piè Veloce Brux, Piè Veloce Lambicus e Nessun Dorma sono state le prime birre prodotte – diventate nel tempo fedeli compagne di viaggio – affiancate da altre come la Zena, una wild gose barrel aged splendida, arricchita dalle note sapide del sale di Cervia, con un’impronta speziata (coriandolo) e funky che non intacca minimamente la sua facilità di beva. O la rustica e complessa Invernomuto, una Farmhouse Ale ottenuta dall’assemblaggio della brett ale Piè Veloce Brux con la Vieille Saison Nessun Dorma, che se lasciata alla prova del tempo regala sorprese inaspettate, perché la sua evoluzione sa essere straordinaria.
È proprio il tempo è una parola che torna spesso, quando si parla con Sartorelli. “Sono birre con cui devi aver pazienza, aspettare i tempi giusti. Non possono essere velocizzate nella loro produzione”. Al pari di legno, il materiale in cui le birre affinano e trovano la loro identità. “Quasi tutte le birre maturano in tonneau da 500 litri. Li preferiamo alla barrique, perché garantiscono una maturazione più lenta. C’è meno contatto con il legno e con l’ossigeno, e così l’acidità si sviluppa in tempi più lunghi, ma con meno spigoli”. Sono botti che prima hanno ospitato vino. “Più che la tipologia di vino, ci interessa la qualità della botte. Devono rimanere scolme il più breve tempo possibile, solitamente un giorno. Collaboriamo con un bottaio di Modena, che usa tagliare le botti per ricavarci le botticelle per l’aceto balsamico. Per le Cerbero, invece, che sono le nostre birre scure più importanti, abbiamo usato botti che avevano contenuto superalcolici, come il brandy di Villa Zarri o il nocino tradizionale di Modena. Anche in questo caso, cerchiamo un approccio locale, piuttosto che andare su whisky, sherry o Porto”.
Terroir, unicità, attesa sono addendi di una somma che si declina in prodotti complessi, ma che non perdono mai la strada della comprensione. Appaganti. Equilibrati. E il mercato, come risponde? “Il Covid ha un po’ sparigliato le carte, sono nate tante birre sour ad acidificazione veloce, la domanda di sour in generale è un po’ scesa, ma c’è ancora spazio, anche di crescita. Il consumatore oggi chiede più birre one shot, anche in questa tipologie di birre, e qualche referenza un po’ più estrema”. Certo, sono birre che meritano un racconto, anche da parte del publican.
“Consideriamo i publican come i primi ambasciatori delle nostre birre, con alcuni di loro abbiamo stretto un legame più forte. Anche in Liguria, abbiamo buoni riscontri, c’è apertura da parte dei clienti verso le nostre birre. E fidelizzazione”.