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Cà du Ferrà

La casa del fabbro dove si plasma il vino del futuro.
Cà du Ferrà a Bonassola (Sp), una terrazza sul Mediterraneo, uno sguardo contemporaneo sulla viticoltura per ridare vita a un grande passito rinascimentale.

Diciassette maggio è una data, certo, ma è anche un’etichetta. Allo stesso tempo però è qualcosa che va ancora oltre: un modo nuovo di guardare alla Liguria del vino, tra ricerca, archeologia e marketing. Partiamo da qui, da questa bottiglia immersa nella vernice turchese marina per raccontare un progetto di famiglia diventato il sogno di due ragazzi che hanno avuto il coraggio e la lungimiranza di farne impresa. Tutto questo è Cà du Ferrà, un pugno di terra benedetta da una delle viste più belle che si possano immaginare. Siamo a Bonassola, pochi passi da Levanto e dalle Cinque Terre. Qui la vigna è cosa antica, frutto di terrazzamenti e di un lavoro sfiancante pressoché impossibile da meccanizzare.

Cà du Ferrà nasce proprio in un piccolo pianoro (i piani del fabbro che ferrava i cavalli alla stazione di posta), vitato fin dal Settecento, che la fillossera ha contribuito a spopolare. Almeno fino a quando Antonio Zoppi, originario di Bonassola, e Aida Forgione, la moglie, campana e viticoltrice da generazioni, all’inizio degli anni Duemila decidono di acquistare alcuni terreni e ricominciare a produrre vino, in una serie di particelle che dal livello del mare salgono fino ai 400 metri slm. Si tratta di piccole fasce, meno di un ettaro, su terreni terrazzati. Questo basta per dare avvio a una storia di grande bellezza, come l’ha definita il figlio Davide. Il quadro infatti non sarebbe completo senza di lui che, dopo gli studi in legge e un possibile percorso nella magistratura, decide di soddisfare quel desiderio di giustizia che si porta dentro non attraverso le aule dei tribunali ma restituendo la terra alla vigna della sua Bonassola.

Nel progetto coinvolge l’allora compagno e oggi marito Giuseppe, ingegnere gestionale con master nella finanza, che lo affianca in questa sfida: creare un’azienda moderna, capace di creare valore partendo da vini a lungo non adeguatamente posizionati. Oggi il lavoro di tutta la famiglia li ha portati ad avere circa cinque ettari “coltivati con una gran fatica” scherza (ma non troppo) Davide, descrivendo quei vigneti eroici con pendenze anche del 35% e in certi casi neppure raggiungibili da mezzi meccanici ma solo attraverso sentiero. “Abbiamo lavorato fin da subito per dare il giusto posizionamento al nostro prodotto, coniugando la massima qualità con il giusto marketing”. Oggi hanno rafforzato l’accoglienza enoturistica e l’agriturismo a pochi metri dalla spiaggia (“Il più vicino al mare dell’intera regione”), dalla cantina escono circa 30mila bottiglie e riescono a esportare in Germania e Stati Uniti. Soprattutto però le loro etichette si sono fatte conoscere ottenendo i maggiori riconoscimenti a livello nazionale e internazionale: “il Luccicante nel 2023 ha collezionato i 3 Bicchieri Gambero Rosso e la Medaglia d’Oro al Concorso Mondiale di Strasburgo”.

Partiamo proprio da questo vino, il Colline di Levanto Vermentino Luccicante, che richiama nel nome i riflessi che ha il mare al tramonto dai piani di Cà du Ferrà, un singolo vigneto a 400 metri sul livello del mare. “Da qui, quando il cielo è terso lo sguardo abbraccia il mediterraneo: si scorgono Punta Ala, le isole di Gorgona, Capraia e il profilo dell’Elba, davanti c’è il ditone della Corsica e sulla destra lo sguardo corre lungo tutta la Riviera di Ponente fino a Cap d’Antibes e Saint Tropez. Un vero e proprio terrazzo marino a sbalzo sul mare con un’escursione termica notturna anche di 10 / 12 gradi”. Il Colline di Levanto Bianco Bonazolae, dal genitivo latino di Bonassola, è l’assemblaggio delle uve raccolte nelle particelle più basse sul mare quindi Vermentino, Albarola e Bosco. Un vino marino, salmastro, iodato, decisamente verticale come soli i grandi vini liguri sanno essere. Il Liguria di Levante Magia di rosa è un rosato che sa rendere onore a questa tipologia di vini. Un vino che nasce alla Torre degli Ardoino, 230 metri d’altezza sul golfo di Bonassola, in un anfiteatro naturale recuperato dai rovi quattro anni fa. “Qui abbiamo piantato sei uve diverse, sei vitigni che hanno attraversato il Mediterraneo cioè Sangiovese, Ciliegiolo, Merlot, Grenache, Vermentino Nero e Syrah. Il Magia di Rosa ne contiene tre ovvero Sangiovese, Vermentino Nero e Syrah ed è capace di rappresentare il giusto mix tra il colore dei rosati provenzali e la nota sapida, salmastra che ci riporta alla verticalità della Liguria”.

Il Colline di Levanto Rosso Ngilù invece le contiene tutte ed è probabilmente l’unico rosso ligure a sei uve. “Lo abbiamo dedicato al nonno: un rosso mediterraneo che gioca su frutto, spezia, sale, un rosso marino che si accosta bene anche al pesce, alla buridda”. Il passito L’intraprendente invece è un vino autobiografico, un passito quasi completamente da uve Bosco che in etichetta ritrae un bambino che pesca con una canna e il cappellino di carta in testa. “Un’immagine che sintetizza la nostra avventura, diventare intraprendenti per plasmare il futuro. Nel caso di quel bambino il futuro era un pesce che doveva arrivare, nel nostro invece un vino che stava arrivando”.

E quel vino che stava arrivando, probabilmente, è un altro passito, da un uva prima persa e oggi recuperata grazie a un lavoro durato quasi vent’anni, il Ruzzese. “Si tratta di un vitigno un tempo tanto famoso da dare vita al passito prediletto di Papa Paolo III. Abbiamo la testimonianza del suo bottigliere Sante Lancerio che raccontava come il Pontefice fosse solito intingere nel Ruzzese il fico mondato e zuccherato. Un vino che ha resistito fino a fine Ottocento quando venne pressoché spazzato via dalla fillossera. A seguito di questo disastro la marchesa Durazzo, per lenire le sofferenze dei contadini, fece portare dei tralci presi dal bosco permettendo così l’addomesticamento dell’uva Bosco che dalle valli del genovesato arriva fino al Levante e che cancellò anche la memoria storica del Ruzzese. Tuttavia, diciotto anni fa, il professor Franco Mannini e la professoressa Anna Schneider su incarico della Regione scovarono una pianta storica, centenaria, di Ruzzese e ne fecero un vigneto museo ad Albenga”.

Quando Davide li conosce, circa otto anni or sono, capisce immediatamente che quello poteva essere il futuro da plasmare. Le iniziali 77 barbatelle piantate sopra i piani di Cà du Ferrà diventano 1500 e nel 2020 è possibile produrre il primo passito, una vendemmia tardiva a cui segue un appassimento su cassette forate per tre mesi. “Il Ruzzese è un vitigno estremamente moderno, che sopporta la siccità e si adatta bene ai nostri terreni, una terra rossa ricca di sali minerali a quattrocento metri slm” Il risultato, come si coglie dall’assaggio delle prime 500 bottiglie presentate a Vinitaly, è un passito con una straordinaria acidità e freschezza capace di mantenersi vino ed evolvere negli anni. Vi ricordate quell’etichetta da dove siamo partiti? Diciassettemaggio. Quella è anche la data di nascita di Giuseppe e vuol essere proprio una dedica a questo rapporto quasi ventennale. “Il Diciassettemaggio vuol dire supporto, vicinanza, amore l’uno per l’altro”, un futuro che poggia su solide radici, proprio come il Ruzzese.

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