Cerca
Close this search box.
Cerca
Close this search box.

Vini come orme sulla sabbia

C’è una Toscana a pochi “passi” dalla Francia, dove l’agricoltura biodinamica guarda al vino più giovane, fresco, conviviale: un’interpretazione tutta da scoprire.

“Quando ci siamo incontrati all’università io ero indirizzato a una carriera nel marketing a Milano, Benedetta invece aveva già la passione per la vite e il vino. Tenuta Lenzini è diventato il nostro progetto di vita”. Così racconta Michele Guarino che insieme alla moglie Benedetta Tronci ha (ri)dato vita a Tenuta Lenzini, venticinque ettari di terreno in quel comprensorio unico rappresentato da Gragnano di Capannori (Lu).

La storia della loro realtà prende avvio negli anni Novanta quando il nonno di Benedetta, Franco Lenzini, uno dei primi industriali della carta a Lucca, di fronte a una piccola grande rivoluzione tecnologica del settore, decide di vendere e reinvestire in una seconda attività. Vede questa proprietà quasi per caso, accompagnando un amico agente immobiliare, e se ne innamora immediatamente nonostante sia tutto in disuso.

tenuta lenzini

La tenuta è inserita in un vero e proprio anfiteatro di vigne che spazia tra l’abitazione e il piccolo centro abitato con il suo campanile (Casa e Chiesa, come racconta una loro etichetta).
Dietro la proprietà c’è Villa Arnolfini dove abitarono i due coniugi ritratti dal pittore fiammingo Jan van Eyck, in una tela diventata celeberrima per il suo contenuto “scandaloso”: un ritratto di matrimonio in cui la sposa veniva raffigurata già in dolce attesa.

Arte e storia si mescolano in questa proprietà dove abitò il primo ufficiale di Elisa Bonaparte, moglie del generale lucchese Baciocchi, con la sua corte di ufficiali e soldati che ben presto si insediarono negli edifici della tenuta e in quell’anfiteatro di vigne piantarono le barbatelle di casa cioè merlot, cabernet, syrah.

Possiamo dire che l’uva indigena, autoctona, in questi terreni è il syrah e non il sangiovese che infatti non abbiamo voluto ripiantare. Possiamo dire che la culla del syrah toscano è proprio tra queste vigne nel comprensorio di Gragnano e Montecarlo, a inizio Ottocento“.
Ed ecco che a scompaginare le carte della Toscana più internazionale, quella dei grandi syrah di Cortona e dei supertuscan, spunta un areale con terreno preglaciale, dalla consistenza argillosa e sabbiosa e un’altitudine tra 90 e 110 metri che consente di avere un microclima quasi continentale, così simile alla Côte du Rhône. 

“La storia e il terreno hanno indirizzato fin da subito Franco Lenzini che nei primi sei ettari e mezzo del 1993 e poi negli altri 6 ettari nel 1997 dà la precedenza a cabernet sauvignon e merlot, mentre Benedetta, di formazione agronoma, quando entra in azienda nel 2004 aggiunge syrah e alicante bouchet”.
Queste vigne “francofone” non sono però l’unica sfida che affrontano. La vera scommessa sarà, infatti, proporre vini freschi, beverini, giovani, in un periodo – l’inizio degli anni Duemila – quando la Toscana cercava corpo e muscoli. 

“Anche nell’affinamento abbiamo puntato prima su acciaio e botte grande, per poi rivolgerci negli ultimi anni al cemento (si tratta di botti in cemento non vetrificate) con l’obiettivo di fare vini che rispecchino le peculiarità del vitigno e siano firmati tutti da una sapidità e una freschezza che invitano alla beva.”.

Una filosofia che si ritrova nel Casa e Chiesa, merlot in purezza, nel bianco Vermignon da uve vermentino e sauvignon, nel La Syrah un vino elegante, femminile intendendo con questo aggettivo un’eleganza innata, una finezza che deriva anche dalla mano dell’enologa. Un Syrah “a piedi nudi sulla sabbia” (per dirla con Ennio Morricone).

cabernet franc

“L’ultimo nato è il Lenzini Franco, il cabernet franc vinificato in purezza, un vino che siamo riusciti a realizzare a seguito del cambiamento climatico che permette di arrivare bene a maturazione, un tributo all’uomo che con la sua intuizione ci ha permesso di fare il lavoro che facciamo”.

Quando hanno iniziato, nei primi Duemila, il biodinamico è stato un azzardo (“Abbiamo dovuto comprare il dinamizzatore in Australia perché qui in pochi sapevano cosa fosse”, spiega Michele) che oggi si è rivelata una scelta azzeccata, un know how accumulato in due decenni che permette loro di avere una conoscenza approfondita della vigna, accompagnandola nel modo migliore a produrre.

Altrettanto e, per certi versi, ancor più sfidante la scelta di puntare su vini più freschi, leggeri che oggi il mercato sta premiando: “Volevamo fare un vino che ci rappresentasse, che fosse come noi, conviviale, giocoso”. Un’interpretazione lontana da quella dei vini ammiraglia toscani, capace però di stupire ad ogni assaggio. Come un’orma sulla sabbia. 

Condividi l'articolo

Altri articoli che potrebbero interessarti...